mercoledì 17 febbraio 2021

SS148 Il lato oscuro della Pontina


La bici è, come sempre, il filo conduttore. Questa volta però quella che segue non è una storia di gioia o di imprese eroiche; si parla di povertà, violenza e sfruttamento ma anche di un uomo che con grande coraggio ha documentato e denunciato questa triste realtà.

Scritto da Raffaele Tedesco per il numero 342 de "la rivista I Martedi ""

NON SOLO NEI FILM WESTERN

 Da ragazzo mi domandavo perché, pur essendo la pianura pontina piena di braccianti indiani sempre sulle loro biciclette, o curvi nei campi, o nelle serre o nelle stalle, poi non ne vedessi mai uno in tribunale a Latina, alla sezione lavoro 1 . O, anche, davanti al giudice civile per dirimere una causa di “buon vicinato”, piuttosto che adire il giudice di pace per un “bernoccolo” alla macchina.
Mai neanche uno. Ovviamente, per quelle stanze di tribunale vuote una risposta c’era, semplice quanto drammatica.

Poi, ho conosciuto chi quelle aule, le piazze, le strade e persino il nostro Parlamento, ha contribuito a riempire di sikh, gli “indiani della terra”. E’ un ragazzone grosso e untantino sgraziato. 

Non proprio un idealtipo di eroe; arruffato nella barba e con una voce decisa ma non incline al comizio trascinante. Si chiama Marco Omizzolo, e più o meno per caso è finito non solo a raccontare quello che nei campi succedeva, ma per un periodo a viverci, a condividere la vita di sommersi e dannati. Ad essere compagni, nel vero ed etimologico significato della parola.   

Doveva essere “solo” una ricerca sociologica, la sua. E’ diventata una storia di riscatto e, perché no, di progresso. Ma quello vero, dove dentro stanno tutti. Forse, solo dal racconto poteva venir fuori il peggio del mondo. Ed ad esso rimanere incatenati, fino all’ultima parola. Marco ci ha raccontato quelli che J. London definirebbe gli abitanti dell’abisso, che vivono in un mattatoio enorme. I“maledetti Okies”, avremmo letto in Furore di J. Steinbeck, “rintanati in umidi fienili annessi alle case coloniche”. 

Marco è entrato in una comunità da dove tutti stavano alla larga. “Il caporalato – dice – infondo è un modello che crea e gestisce consenso”. E genera soldi, tanti soldi. Dove ci sono la violenza e la paura, generata da uomini che “la mattina baciano il figlioletto prima che entri a scuola, e poi vanno a picchiare i braccianti sikh”. Alle sue prime domande su come erano i padroni, la risposta degli indiani era: “Padrone buono”, nonostante fossero sempre chiamati “pecore o animali” dai loro aguzzini. Per potergli aiutare ha dovuto creare un sentimento che è la pre-condizione a tutto: la fiducia.
Lavorava al loro fianco. Andava nei loro templi. La notte nelle loro case ad insegnargli l’italiano, a
tradurgli le buste paga e contratto collettivo di lavoro. Non ha “lavorato per loro, ma con loro”, ama dire, senza collaboratori e supporto, almeno all’inizio. 

Ci ha raccontato che, infondo, il primo elemento rivoluzionario, di rottura, è stato l’insegnamento della lingua italiana, servita a dare le coordinate ai braccianti, al fine di comprendere la loro condizione di “morte viva”. Sapere più parole, cambiare vocabolario, è stata la svolta anche per mutare le loro vite. Vite di persone costretta a lavorare quattordici ore al giorno, per una paga che non va mai oltre gli ottocento euro al mese, se va di lusso. Ma che poteva abbassarsi anche a un euro l’ora.
Marco ha visto gente costretta a doparsi per rimanere in piedi sotto il sole. Versare lacrime, mentre raccontavano alle mogli in India, che loro stavano benissimo in Italia, e in piena salute. Ma intanto piangevano mentre mentivano. Continuando a vivere in stamberghe non degne di essere chiamate case. O, come è successo, chiusi in gabbia, per essere la mattina “liberati”, perché i campi ed il lavoro aspettano. Minacciati mano armata, pistole alla tempia, da chi in casa aveva interi arsenali. Farsi le domande giuste. E’ questo uno dei punti di partenza necessari per capire una realtà, e poi combatterla. A volte, come Marco ci dice, sono domande semplici se non banali. “Perché gli indiani vanno sempre in bici?”, per esempio. Di certo non perché sono i paladini del salutismo. Ma solamente per il motivo che, pur stando da anni nel nostro paese, non hanno mai i soldi sufficienti per comprare un altro mezzo, viste le paghe da fame, e le somme che devono lasciare ai loro padroni (o altri strozzini) per vitto e alloggio. 

Le buste paga sono pure regolari. I soldi no. E poi il ricatto dei documenti, blandito come ammonimento al silenzio. Il rinnovo di una carta di identità poteva costare fino a ottocento euro, mentre il loro “padrone” mangiava anche su questo, non bastandogli le loro vite. 

Omizzolo gli ha portati in piazza. Gli ha aiutati a denunciare. Ma la sua grande soddisfazione è stata quando il suo aiuto non è servito più. Le loro sofferenze avevano “generato il furore”, il coraggio e la consapevolezza di autorganizzarsi in sciopero. Oggi, vive attenzionato dalla polizia ed ha dovuto lasciare la sua casa dopo varie minacce e tre auto bruciate. Da quando, come racconta, oltre dieci anni fa, soccorse Samir, che era caduto dalla bici, in una giornata estiva dal caldo infernale, la sorte ha voluto che Marco non si girasse più dall’altra parte. Ed ha reso evidente ciò che tutti vedono.
Ad una sua interlocuzione con pubblici ufficiali, un alto in grado gli disse: “Dottore, noi gli indiani gli vediamo solo nei film western”. Ecco, a volte non basta la luce nei campi a far vedere lo scempio dell’umanità.


Per approfondire:

Omizzolo, lotta al caporalato

Braccianti e coronavirus: la situazione dei migranti Sikh nell'Agro Pontino

 



giovedì 15 ottobre 2020

DEDICATO A VITO TACCONE

La 3’ edizione della Ciclostorica “dalle Cascate Al Lago”, nonché quarta tappa delle “Ciclostoriche del Sud – Giro delle Regioni” è dedicata a Vito Taccone (Avezzano 06/05/1940 – 15/10/2007) conosciuto come “il Camoscio d’Abruzzo”. 

Essendo un evento di rievocazione storica voglio riportarVi, attraverso un articolo di Gianni Mura, al 1966 dove nel Giro d’Italia si trovavano a competere per la Maglia Rosa campioni di alto calibro come lo stesso Tacconi poi Gimondi, Motta, Anquetil, Jimenez, Bitossi, Adorni e molti altri. 

Mura, giovanissimo 21enne, assunto alla "Gazzetta dello Sport" seguira tutto il Giro e questo è l'articolo della prima tappa:

 

TACCONE, IL PIU PRIMO DEI DUE PRIMI 

Diana Marina, 18 Maggio. 

Così di colpo trasportati in clima di battaglia, si stenta a credere di aver vissuto i primi ottanta chilometri, almeno di questa tappa epica, in un penoso, pensoso dormiveglia, senza consolazione alcuna nemmeno nel paesaggio, accettabile solo dalla frontiera a Ventimiglia. Accettabile lo sarà più tardi, nei saliscendi dell’entroterra: eriche, ginestre, vecchie case, ma allora non ci sarà più il tempo di perdercisi dietro, inchiodati ai cronometri, più o meno accurati, storiografi di questo primo atto della guerra santa. Bianchi colombi sono stati spediti verso Sud, affinché anche nei più sperduti casolari d’Abruzzo si sappia la lieta novella. Ghiottissime coincidenze. L’anno scorso primo Mealli, secondo Taccone, quest’anno viceversa. E poi, Taccone, Vituzzo nostro, l’umiliato ed offeso, il povero, il diseredato che quest’inverno aveva sbandierato seri propositi di rinuncia, per cui lo si sarebbe visto nella veste di coltivatore diretto (“stavolta ho proprio deciso”), come non può far impazzire le corde dell’entusiasmo popolare? Evviva, qui, e fiaccole sotto il moggio e sopra il poggio, e cori da pastori della Maiella sull’aria di noti motivi: Tic Tac, Tic Tac, Taccone. 

Certo, a proposito di diseredati, è probabile che Victor Hugo se la caverebbe meglio di noi, ma sapete com’è il proverbio: “chi muore giace e chi vive si dà al bel tempo” – bel tempo relativo, poi; uno sta tranquillo in un angolo a scrivere un modesto magnificat e gli giunge voce che Taccone è primo, ma che primo è anche Mealli. Anzi, che sono primi tutti e due, ma che forse il primo Mealli è più primo del primo Taccone. Momenti di Ansia. Come apertura non c’è davvero male, quando a suspense. Pensare che all’inizio tutto pareva normale, da giornata di tregua. I motivi non li sappiamo. Fatto sta che pochissimo si impegnarono al traguardo tricolore di Bordighera, vinto da Manza su Marcoli e Andreoli. Tre elementi che alla classifica dei traguardi tricolori tengono molto, anche perché, su quella generale, saggiamente non si fanno illusioni. Poi il vuoto, nel block notes. Da Battistini viene la scintilla, l’inizio del fuoco d’artificio. Battistini, giallo-ligure di fiere tradizionali, asciutto come un frassino, con un gran naso al vento, lega con Jimenez e Motta, ma dura poco. Il Tempo che molta gente si accorga che è venuto il momento di svegliarsi. Nel gioco degli italiani si trova incastrato Jimenez, pelato scalatore con apparenze ecclesiastiche nell’aspetto, che si rassegna di buon grado a far parte dello spettatore in mezzo ad un gruppo di matti lucidamente scatenati… Motivo della pazzia, assai vicina all’entusiasmo, la caduta di Anquetil. Caduta metaforica e dunque assai più sostanziosa e incoraggiante. L’ammalato (di sfiducia) ha preso un brodo, e visto che tutti gli italiani di classifica sono nel gruppo di testa ci si lascia andare a manifestazioni di giubilio con le quali bisogna ferire i colleghi francesi, in cui la galloria gratuitamente nazionalistica, neppure lontana parente del tanto laudato “esprit gaulois”, supera a volte, e le trascende, le considerazioni tecnico-tattiche contingenti, con conseguenze che possono alla lunga essere spiacevoli. L’entusiasmo pudico, ad ogni modo, non impedisce di notare l’impegno di Gimondi nello sprint. V’era da aspettarselo, conoscendo le strade del suo cuore. Tra un alleluia e l’altro passa il tempo, e finalmente si apprende per certo che Taccone ha vinto. Contentezza generale, meno che nel clan di Anquetil. Certo che il richiamo alla realtà è stato brusco, certo anche che saprà reagire da par suo, ma intanto, a tre minuti e rotti, conosce il sapore della caduta. Della disfatta. La Saint Bathelemy, giù dal Saint-Barthelemy. 

Da “La gazzetta dello Sport” 19 Maggio 1966 

venerdì 9 ottobre 2020

LIBERO... LIBERO DAL MAL DI GAMBE

'UN LIBRO SCRITTO DA UN NON CAMPIONE PER DEI NON CAMPIONI'
 

Così l'autore Luca Casadeo definisce il suo libro “Libero… Libero dal mal di gambe” durante la presentazione svoltasi lo scorso venerdì 02 Ottobre al Good Mixer Bar di Scauri (LT), spalla a spalla con il nostro amico/cicloamatore Antonio Scipione degli Aurunci Cycling Team.
 

Abbiamo 'sbobinato' da una diretta facebook i punti salienti della sua presentazione e pubblicato le sue parole sperando di fare cosa gradita per chi non ha avuto il piacere di ascoltarle:

 

'Il libro non parla di me, ma uso “me” per raccontare cosa mi ha insegnato il ciclismo e come può essere applicato nella vita sociale, nell’ambito familiare, lavorativo e così via…

Qualcuno probabilmente mi conosce avendomi visto in televisione o per quelle che vengono definite “Imprese” fatte in bicicletta, ma nessuno conosce ciò che davvero mi rende molto orgoglioso: il fatto di essere il ciclista più longevo, ossia il ciclista che ha partecipato nella categoria élite a cinquant’anni non trascinandosi, ma vincendo: nel libro racconto come tutto questo sia avvenuto.
In cinquant’anni ho corso ed ottenuto qualche risultato, dando per scontato che i requisiti fondamentali per avere successo nel  ciclismo fossero principalmente tre: riposo, alimentazione e allenamento, ciascuno in percentuale pari al 30%; nel restante 10%  inserivo "varie" e condizione mentale. Sono cresciuto, quindi, pensando che la percentuale "mentale" fosse solo una parte di quel 10%, ma adesso, ragionando con un bel bagaglio di esperienza sulle spalle, direi che il nostro modo di pensare cambia molto il nostro stato d’animo e di conseguenza il risultato dell’allenamento.


Fatta questa esperienza, decisi di abbandonare il professionismo in buona forma fisica e non quando stavo male. In seguito mi fu proposto di fare dei programmi televisivi come “Consigli del Coach” oppure “Bike Academy”, ovviamente accettai, ma ritrovandomi nel mondo amatoriale, scoprii che era totalmente differente da quello che conoscevo.
Quello dei cicloamatori è un mondo fatto di tabelle,Garmin, dati, kom etc, ma a mio parere privo delle basi di insegnamento del saper andare in bicicletta, che nel libro cerco di spiegare, sottolineando l'importanza dell'atteggiamento positivo che si dovrebbe avere quando si pedala. Sulla base di questo ragionamento ho innalzato il dato percentuale dedicato alla 'mente' abbassando di cinque punti percentuali i tre pilastri originari e portando tutti e quattro i valori al 25%.
Al pubblico che mi ascolta, così eterogeneo, una cosa importante che mi viene in mente da dire è che le tabelle di cui abbiamo parlato prima, basate su algoritmi ma soprattutto su statistiche, per quanto personalizzate non possono mai essere reali. Un allenamento va contestualizzato persona per persona e soprattutto siamo noi a sapere chi siamo, quale ruolo vogliamo avere nel mondo del ciclismo e quali sono i nostri obbiettivi. Ho provato tramite il libro a spiegare che, oltre le tabelle, ci sono altri modi di migliorare ed ho ricevuto molti apprezzamenti da chi lo ha letto.
Detto questo non mi definisco un antiprogressista , anzi, spesso guardo molto oltre, però mi piace far capire a chi non proviene dal mondo dei ciclisti professionisti, che migliorandosi dell’1% su cento cose si possono avere risultati sorprendenti, semplici e veloci: nel libro parlo proprio di queste cento cose. Ovviamente non dirò mai di abbandonare le tabelle, ma si può provare ad affiancarle ai miei suggerimenti o alternarle ad essi.
In conclusione, nel libro racconto come effettuare questo cambiamento e quali sono le domande da farci  se vogliamo migliorare… ho usato la mia pratica per passare la teoria.

 
 


Alle domande della nostra cara amica Marianna Chianese su quanto fossero diversi gli allenamenti per i ciclisti del dopoguerra, senza tutte le accortezze citate, se le ciclostoriche sono di suo gradimento e come meglio prepararsi per affrontarne una, Salvadeo risponde così:
 

Le ciclostoriche raccontano il ciclismo prima degli anni ottanta (anni di svolta) e io li ho vissuti da sei a dodici anni. Odiavo quel periodo, amavo le biciclette, ma non sopportavo le maglie di lana: già da bambino ero consapevole che, contrariamente a tutto quello che si diceva, la maglia di lana tiene caldo d’estate e freddo d’inverno e, come se non bastasse, si usava la pancera di lana, altrimenti in discesa venivano le congestioni. Inoltre, all’epoca, il fondello era in pelle di daino e, avendo ognuno di noi poco abbigliamento sportivo, quando si tornava a casa dall’allenamento bisognava lavare i panni e metterli sui termosifoni ad asciugare, così la lana si infeltriva e la pelle di daino diventava carta vetrata. Quindi non ho ricordi molto belli 😱.

 

Tre anni fa, però, fui invitato a partecipare a una ciclostorica e, avendo già una Colnago anni ’80 e l’abbigliamento d’epoca, decisi di accettare (tra l’altro, nel libro parlo dell’avvento della licra). Pensavo di trovare una festa in maschera dove le persone si travestivano da ciclisti d’epoca, invece partecipando notai che le mani andavano tranquillamente a cambiare sul tubo obbligo e che, istintivamente, avendo i puntapiedi, con i piedi toccavo leggermente il pedale, la gabbietta si girava e la scarpa entrava, per cui sono tornati a galla tutta una serie di meccanismi ed automatismi che avevo solo momentaneamente archiviato. Per questo dico sempre che posso allenarmi quanto voglio, ma se imparo ad andare in bicicletta, quello è per sempre. Alla fine di quella ciclostorica, entusiasta di quello che avevo vissuto, mi sono iscritto, pochi mesi dopo, alla Milano/Sanremo e l’ho percorsa, con lo stupore di tutti i partecipanti, con la mia Colnago d’epoca.
 

Di nuovo al microfono, Marianna dopo aver illustrato all’autore il Premio Letterario Nazionale dedicato alla bicicletta, nato a Minturno, “Il Bicicletterario – Parole in Bicicletta”, sottolineando l'interessante connubio tra bicicletta e letteratura, chiede se andare in bicicletta, secondo lui, aumenti l'ispirazione o la limiti.

Quello che tutti noi sappiamo è che possiamo modificare i nostri muscoli e il nostro corpo allenandoci, quello che a molti sfugge, invece, è che possiamo modificare e allenare anche i nostri pensieri, la nostra mente.
Banalmente dico che i nostri pensieri, il nostro stato d’animo sono la conseguenza di fattori biochimici. Se siamo stressati produciamo l’ormone dello stress, il cortisolo, se siamo in uno stato di euforia produciamo le endorfine e per questo motivo notiamo che le persone davanti a uno stesso evento reagiscono in maniera differente. Nel libro cerco di spiegare come allenare la mente ad essere libera da stress e cercare in qualche modo di tenere alte le endorfine.  


Questo è il resoconto della piacevole serata trascorsa in compagnia di Luca Salvadeo, non ci resta che invitarvi a far pedalare anche la vostra mente leggendo il suo interessantissimo libro perché, ormai si sa, la salute viaggia in bicicletta 😉

 

vi segnaliamo le sue pagine:

Instagram: Luca Salvadeo

You Tube: Luca Salvadeo

Facebook: Luca Salvadeo

giovedì 25 giugno 2020

APPIA - Dalla Città Eterna a Brindisi


 
Soprannominata “regina viarum” (regina di tutte le strade), è stata il percorso prediletto dai pellegrini, attraverso il quale era possibile raggiungere la Terra Santa.

La via Appia antica è la più famosa strada Romana e ha mantenuto molti dei suoi resti. La sua costruzione  ad opera del censore Appio Claudio Cieco, risale al 312 A.C. 
Il percorso originale delll'Appia antica partiva da Roma e  passando da Terracina (Anxur), Minturno (Minturnae), Mondragone (Sinuessa),  arrivava a Capua . Da Capua continuava per Benevento (Beneventum) fino al mare di Taranto (Tarentum) per poi arrivare a Brindisi (Brundisiu) dove due Colonne simboleggiano la fine del suo percorso. 
 
 
La strada formata da grandi lastre di pietra lavica si presenta quasi sempre dritta, abbastanza larga da permettere il traffico in entrambe le direzioni presentava anche due marciapiedi laterali per il percorso pedonale,  adornati da numerosi monumenti funerari che i passanti potevano ammirare per evitare la monotonia del viaggio. La via Appia era anche scandita dalle Pietre Miliari che indicavano la distanza percorsa i n una direzione e nell'altra. La più antica via d'Europa è stata senza dubbio modello per la realizzazione di molte altre strade costruite  successivamente.


Questo lungo e storico percorso, ci viene raccontato da due nostri conoscenti che lo hanno attraversato: il primo piedi, l'altro in bici:
 

Il 9 giugno 2016 esce la prima pubblicazione del libro "Appia" di Paolo Rumiz, che racconta di un viaggio impegnativo d urante il quale è stato possibile ammirare le  straordinarie bellezze della nostra terra incontrando personaggi memorabili  ma che nello stesso tempo ha messo in luce i molti tratti abbandonati e in stato di totale degrado di questa straordinaria infrastruttura romana. Un viaggio in bilico tra l'incantamento e l'indignazione. Con il libro "Appia" Rumiz  porta l'attenzione su questo bene abbandonato, dall'Italia e Dall'Europa, attraverso la descrizione puntuale dell'itinerario dettagliato, tappa per tappa, corredato dalla cartografia di viaggio.
Per Rumiz l'Appia potrebbe diventare il nuovo cammino di Santiago europeo essendo tra l'altro infinitamente più interessante.

 
 
 
  
Pochi giorni fa invece è uscito il libro "La via Appia" di Carmine Papa che l'autore presenta commentandolo in questo modo:
“ho cercato di diffondere la mia passione per le bici e per le bici d'epoca e i viaggi, e questo è un viaggio definibile bidimensionale o addirittura possiamo definirlo tridimensionale. Tridimensionale perché oltre ad essere un viaggio fisico attraverso la geografia, il territorio, la storia, la cultura e l'enogastronomia è soprattutto un viaggio interiore vissuto con una bici dei cent'anni.”
Il resto lo scopriremo appena riusciremo a reperire il suo libro, disponibile su Amazon.

 
 
 




Sempre qualche giorno fa' nel nostro Comune: Minturno, è stato riportato alla luce un altro tratto dell'antica via Appia, che mai come nel sito archeologico di Minturnae manifesta la sua enorme importanza non solo come asse di collegamento tra diverse urbes dell'Impero ma come percorso lungo il quale si sono letteralmente sviluppate molte di queste urbes. La Via Appia a Minturnae lambiva il Teatro e su di essa si affacciava il foro, importante centro civico e politico della città i cui resti sono ben visibili ancora oggi. La Regina Viarum passava accanto al tempio Capitolium, e su di essa si aprivano diverse tabernae a testimonianza dell'importanza anche commerciale che rivestiva la strada, oltre alle domus e alle numerose statue di divinità e cittadini illustri. Lungo l'APPIA si svolgeva la vita dell'Impero....basta farsi una passeggiata lungo di essa per accorgersene ancora oggi...

L'Amministrazione Comunale insieme alla Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per le province di Frosinone Latina e Rieti ha annunciato una serie di interventi che se portati a termine continueranno l'opera di valorizzazione del nostro territorio, che passa necessariamente dal recupero della nostra importante memoria storica. Dobbiamo ricordarci da dove veniamo per sapere dove stiamo andando o ancora meglio per decidere dove vogliamo andare.

Speriamo vivamente che l'Appia ritrovi la sua antica grandezza e che diventi un punto di riferimento per il turismo lento, a piedi o in bicicletta: questa ci pare sia la sua naturale vocazione. 😉
 
 
 (Paolo Rumiz in visita a Minturno con una delle nostre bici)

venerdì 12 giugno 2020

PEDIBUS O BICIBUS, a scuola rispettando l’ambiente



Oggi, nonostante il lockdown ci abbia fatto apprezzare la bellezza di stare all'aperto, siamo soliti utilizzare anche per piccoli spostamenti mezzi privati generando inquinamento e privando i bambini della libertà di muoversi e di fruire degli spazi urbani, portando agli stessi risentimenti fisici e mentali.

Molti sono i comuni che in questi anni hanno lavorato in modo di garantire percorsi sicuri casa/scuola contribuendo a garantire  un ambiente , una mobilità ed una società sostenibile.

Creare piste ciclabili, isole pedonali, istituire Zone 30, rifare la segnaletica stradale, riqualificare le aree intorno le scuole è il primo passo verso una reale messa in sicurezza per gli spostamenti casa/scuola. Ma non lo riteniamo sufficiente, andrebbero poi istituiti laboratori, incontri per organizzare spostamenti sicuri, avviare progetti con scuole, cittadini e realtà associative. Avviare lo sviluppo di Pedibus o Bicibus (veri e propri autobus umani) che sotto la guida di due o più adulti accompagnano a scuola bambini e ragazzi a piedi o in bici in base a orari e percorsi stabiliti.

Coinvolgere attraverso una serie di “Processi partecipativi” tutta la cittadinanza.

Prima della ripresa scolastica, soprattutto delle scuole medie e materne, sarebbe opportuno prendere in considerazione queste iniziative che eviterebbero il riproporsi degli ingorghi davanti agli istituti salvaguardando la salute di alunni, genitori ed insegnanti.
Partire con la realizzazione di una rete ciclabile, da noi fortemente richiesta anni or sono, avrebbe sicuramente favorito la realizzazione di tale progetto.


…sempre in attesa…


mercoledì 22 aprile 2020

Earthday 2020 e Fase 2


Oggi 22 Aprile è la cinquantesima giornata mondiale della Terra. Una giornata da noi (e da tutti i gruppi ecologisti) utilizzata come occasione per valutare le problematiche del Pianeta: 

  • inquinamento,
  • distruzione degli ecosistemi
  • esaurimento delle risorse non rinnovabili,

cercando soluzioni che permettano di eliminare gli effetti negativi delle attività dell'uomo, come ad esempio la promozione di una mobilità sostenibile, la tutela del verde e il riciclo dei materiali. 

Quest'anno questa giornata assume un significato particolare in ragione della drammatica pandemia di Covid-19 che sta colpendo tutta l'umanità. 

Dopo il lungo periodo di lockdown il Governo ha deciso che dal 4 Maggio parte la Fase 2, una fase che ci introduce verso una ripartenza all'insegna della massima cautela, prevedendo un allentamento delle misure restrittive ma tenendo sempre presente la curva epidemiologica. 

In questa importante Fase 2 in cui è richiesto di rimanere a distanza di sicurezza gli uni dagli altri, i mezzi di trasporto pubblico risultano “pericolosi” e perciò corriamo il rischio di riempire i nostri paesi di automobili tanto da congestionare il traffico in modo insostenibile, con pesanti ripercussioni sull’ambiente. L’OMS suggerisce caldamente di effettuare preferibilmente spostamenti in bici o a piedi. 

Questo momento con tutte le difficoltà che ci sta creando, rappresenta l’occasione giusta per portare avanti con ancora maggiore forza, la visione di una città a misura d'uomo in cui la Bicicletta è grande e importante protagonista! 

E’ il momento di ripensare totalmente alla mobilità dei residenti per rispondere all'emergenza sanitaria contingente ma anche e soprattutto, con una visione a più ampio raggio, per incrementare la rete di mobilità sostenibile capace di garantire gli spostamenti 'da e verso' gli hub presenti sul territorio: uffici, ospedali, servizi, strutture sportive, eccetera.


Ad oggi, nonostante i nostri continui solleciti e la petizione popolare da noi promossa qualche anno fa, nel nostro Comune di Minturno siamo ancora a zero… eppure le potenzialità ci sono, gli interventi sulle infrastrutture non per forza devono essere onerosi ed abbiamo molte conoscenze che sarebbero liete di aiutarci nella stesura di un progetto significativo….   è ora di fare qualcosa, per non restare indietro in una fase di cambiamento che è già cominciata e che proseguirà anche se in molti fanno finta di non accorgersene a discapito di tutta la comunità e dell'ambiente che ci ospita.

sabato 21 marzo 2020

Giornata Mondiale della Poesia


Il 21 marzo di quest'anno segna l'inizio di una primavera 'insolita', che già da giorni bussa invano alle nostre porte, doverosamente chiuse... 

Ciò nonostante percepiamo il tepore, i profumi e il senso di rinascita sprigionati da questa bellissima stagione, da sempre fonte d'ispirazione per i poeti: non a caso, oggi è anche la Giornata Mondiale della Poesia e, per celebrare questa doppia ricorrenza, vi offriamo la lettura di alcuni versi scritti per la IV edizione de Il Bicicletterario, dedicati agli eroi del ciclismo italiano, con l'augurio di tornare presto a pedalare in libertà e l'invito a scriverci le vostre storie in bicicletta per partecipare alla prossima edizione del nostro 'Giro d'Italia Cicloletterario'.

Buona lettura!


Ciclismo mon amour

Ho visto gran ciclisti nel corso della vita,

chi un fulmine in volata e chi forte in salita

qualcuno invece l’ho visto in televisione,

come il mitico Fausto, grandissimo campione.



Quando ero un ragazzo c’era un solo padrone,

il leggendario belga dal brutto soprannome

Cannibale era detto e ciò per la ragione,

del fatto che vinceva per tutta la stagione.



A me però piaceva Gimondi, un gran signore,

che vinse tante corse e aveva un grande cuore,

poi venne un bel duello Moser contro Saronni,

ed infine fu il Pirata che occupò i miei sonni.



Tutto finì un mattino a Madonna di Campiglio,

lì ebbe inizio il dramma che tolse a questo figlio

di un ciclismo epico e fatto di sudore,

la voglia di tornare a lottare per l’onore.



Dopo quella tragedia, lo devo confessare,

per i ciclisti ho smesso perfino di esultare

però mi resta sempre un amore sconfinato,

per il mezzo coi pedali che il mondo ha conquistato.

Tiberio La Rocca